
TUTELA E DIRITTI DEI LAVORATORI
Il diritto al lavoro
Il diritto al lavoro è un diritto riconosciuto a tutti i cittadini, che non si concreta nella pretesa di ottenere un posto di lavoro, ma nell’invito rivolto ai poteri pubblici di creare le condizioni affinché tutti possano trovare occupazione.
Il lavoro si concreta, in primo luogo, in una libertà che consente di scegliere il tipo e le modalità di esercizio della propria attività lavorativa.
Il carattere preminente del lavoro è immediatamente ravvisabile nell’art. 1 della Costituzione, in base al quale l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
La Costituzione riconosce, infatti, la centralità del lavoro, inteso come principio basilare della società, per cui nel nostro Paese, al contrario del passato, non hanno alcun peso politico e sociale il censo e i privilegi di nascita o di casta.
Tale dichiarazione enuncia il fondamento sociale e ideologico della Repubblica, cancellando la forma di Stato classista che caratterizzava il Regno d’Italia.
Altri principi fondamentali di ordine generale sono poi contenuti negli articoli 4, comma 1, e 3, comma 2.
nell’invito rivolto ai poteri pubblici di creare le condizioni affinché tutti possano trovare occupazione.
TUTELA AL LAVORO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA:
Quali sono le norme della Costituzione italiana dedicate propriamente alla tutela del lavoro?
Le norme della Costituzione dedicate propriamente al lavoro sono contenute negli articoli 35-47, ove sono definiti i principi fondamentali che regolano l’assetto economico della società.
La finalità resta quella di tutelare, nell’ambito di tali relazioni, il soggetto più debole, cioè il lavoratore, e di conferire concretezza all’impegno dello Stato alla promozione di tutti gli strumenti di emancipazione delle classi storicamente subalterne.
Le richiamate norme costituzionali riguardano, ad esempio, la tutela del lavoro in tutte le sue forme; i criteri di determinazione della retribuzione; la durata massima della giornata lavorativa; la tutela della donna lavoratrice; il diritto del lavoratore ad adeguate forme di previdenza e assistenza sociale; l’attività sindacale.
La Costituzione torna a parlare di tutela del lavoro in un trittico di norme: gli articoli 35, 36 e 37 dopo averlo già fatto agli articoli 1, 3 e 4. Ce n’era davvero bisogno, perché la tutela a cui si riferisce l’articolo 35 non è il diritto all’occupazione, tanto proclamato dall’articolo 4 e peraltro mai attuato. Qui il richiamo è alle condizioni materiali e concrete di lavoro, alle modalità e ai luoghi in cui esso si svolge, alla retribuzione, alle prospettive di carriera. Ne deriva innanzitutto l’obbligo per il datore di lavoro (per come imposto dall’articolo 2087 del Codice civile) di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti.
Chi si fa male sul lavoro ha diritto ad assentarsi finché non guarisce (senza perdere lo stipendio) e può contare su una copertura da parte dell’Inail.
Se poi l’infortunio dipende dalla mancata attuazione delle misure di sicurezza da parte del datore, non esiste un limite temporale alla malattia che, pertanto, può prolungarsi anche oltre gli ordinari termini del comporto previsti dal contratto collettivo nazionale.
C’è chi però, senza scrupoli, dopo essersi valso dell’attività di lavoratori senza averli regolarizzati, li licenzia non appena questi si feriscono in un cantiere, in un ufficio, in un magazzino. Lì interviene la legge a garantire una tutela anche nel caso di lavoro in nero: il dipendente può avviare un’azione giudiziaria contro l’ex datore di lavoro fino a cinque anni dalla cessazione dell’attività, per ottenere da questi il risarcimento, gli arretrati non corrisposti, le differenze retributive, i contributi previdenziali, il pagamento delle ferie non godute, il Tfr ed eventualmente la reintegra sul posto di lavoro.
L’articolo 35 della Costituzione opera una vera e propria rivoluzione culturale del concetto di lavoro, trasformando ciò che un tempo era un dovere (dovere dello schiavo; dovere del prigioniero; dovere di chi, non avendo mezzi economici, era costretto a lavorare in condizioni pessime pur di sopravvivere) in un diritto. Se non fosse che la frase è stata utilizzata in occasione di uno dei più grossi genocidi della storia, è quanto mai vero il fatto che «il lavoro rende liberi» e non schiavi. Prova ne è il fatto che chi è senza lavoro cade in uno stato di depressione che fa star male anche le persone che gli stanno vicino.
L’articolo 35, nel «tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni», è rimasto parzialmente incompiuto. La norma parla di lavoro in termini generali, riferendosi pertanto non solo a quello dipendente, ma anche al lavoro parasubordinato, a quello autonomo e imprenditoriale. Sappiamo bene però che, nella prassi, le tutele delle cosiddette partite Iva sono praticamente inesistenti, per quanto il tessuto economico dell’Italia si basi principalmente sulle micro e piccole aziende. Esiste uno Statuto dei lavoratori che si applica solo ai rapporti subordinati ma non c’è ancora, nonostante se ne parli da anni, uno Statuto dei lavoratori autonomi o degli imprenditori benché anche questi contribuiscano al miglioramento della società e alla ricchezza del Paese.
In secondo luogo la Repubblica tutela solo il lavoro che c’è, garantisce i diritti dei lavoratori già occupati, ma non ha la forza economica sufficiente per offrire lavoro a quanti lo cercano e non lo trovano. I numerosi aiuti dello Stato e i posti pubblici a lungo distribuiti come regalie non sono riusciti a garantire, in tutti questi anni, tanti posti per quanti sono i pretendenti.
A seguire l’articolo 36 riconosce il diritto ad una retribuzione proporzionata al fine di garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza “libera e dignitosa”, il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite; l’articolo 37 della Costituzione tutela il lavoro delle donne e dei minori, riconoscendo la parità di lavoro e di retribuzione per uomini e donne.
Nell’articolo 38 vengono stabilite invece le norme per la previdenza, l’assistenza e le assicurazioni obbligatorie.
L’articolo 39 regola il diritto all’organizzazione e l’attività sindacale, mentre l’articolo 40 definisce il principio del diritto di sciopero dei lavoratori.
I diritti del lavoratore:
Possiamo definire i diritti del lavoratore come un complesso di situazioni giuridiche attive, che a loro volta si sostanziano in un insieme di facoltà, libertà, prerogative connesse all’espletamento del rapporto di lavoro.
Nell’alveo dei diritti riconosciuti al lavoratore possiamo individuare 4 macro-aree, che al loro interno ricomprendono un numero consistente di ulteriori prerogative. Distinguiamo tra diritti di natura patrimoniale, personale, sindacale, ed il diritto d’invenzione.
- Diritti di natura patrimoniale:riguardanti il trattamento economico spettante al lavoratore in relazione all’attività prestata, ed in quanto parte di un rapporto di lavoro, come il diritto alla retribuzione, al TRF, ad eventuali indennità speciali;
- Diritti personali: inerenti la personalità dell’individuo, e garantiti dalla Costituzione, quali il diritto all’integrità fisica ed alla salute, in cui rientrano il diritto al riposo giornaliero e settimanale ed il diritto alle ferie; il diritto di conservare il proprio posto di lavoro in caso di malattia, infortunio, servizio militare, gravidanza e puerperio; alla libertà di opinione, tutela della riservatezza e della dignità del lavoratore; allo studio per gli studenti-lavoratori; diritto ad adempiere a pubbliche funzioni elettive con conservazione del posto di lavoro;
- Diritti sindacali:diritto di aderire ad associazioni sindacali, di manifestare il proprio pensiero e di svolgere attività sindacale dentro e fuori il luogo di lavoro ed il diritto allo sciopero;
- Diritto morale d’invenzione: diritto di essere riconosciuto autore delle invenzioni ed opere dell’ingegno realizzate.
I principali diritti patrimoniali e personali
In cambio dell’attività prestata al lavoratore vanno garantiti i seguenti diritti:
- diritto alla retribuzione: la retribuzione rappresenta il corrispettivo della prestazione lavorativa, come disciplinato dall’art. 2094 c.c., secondo cui “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.” Il succitato diritto è espressione della sinallagmaticità che caratterizza il contratto di lavoro, la cui onerosità si manifesta nello scambio tra prestazione del lavoratore da un lato, e compenso erogato dal datore di lavoro dall’altro. Al riguardo la Costituzione all’art. 36 fissa il principio della giusta retribuzione, in base al quale vi deve essere proporzione tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro svolto, che, inoltre, deve essere sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. L’entità della stessa, oggetto di contrattazione collettiva, varia in base al tipo di lavoro, qualifica, ed al “livello di inquadramento”, (professionalità posseduta dal dipendente, titolo di studio, mansioni a cui viene adibito). Sono previste diverse forme di retribuzione, come indicato nell’art. 2099 del codice civile: retribuzione a tempo; a cottimo; a compartecipazione; con provvigioni o con prestazioni in natura;
- straordinario: è quel lavoro che viene prestato oltre l’orario contrattuale. Esso deve avere un carattere eccezionale e saltuario. La retribuzione corrisposta per le ore di lavoro straordinarie è maggiorata, in misura variabile, a seconda dei diversi contratti. Sulla base del D.Lgs.n.66 del 2003 che ne disciplina le condizioni di legittimità, mentre in alcuni casi il lavoro straordinario deve essere subordinato all’esplicito consenso da parte del lavoratore, in altri può essere imposto dal datore di lavoro che richiede delle ore di lavoro in più rispetto a quelle ordinariamente previste dal CCNL per eccezionali esigenze produttive, cause di forza maggiore o eventi particolari (es. mostre, fiere e manifestazioni collegate all’attività produttiva);
orario di lavoro: la durata dell’orario normale di lavoro è fissata per legge in un massimo di 40 ore settimanali, (tuttavia i CCNL possono prevedere una durata inferiore), distribuite per un massimo di 6 giorni lavorativi. In ogni caso non si possono superare le 48 ore nell’arco di una settimana;
- riposo settimanale: il lavoratore ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di norma coincidente con la domenica. Tale giornata deve avere una durata di 24 ore consecutive. Se, per motivi particolari, il datore di lavoro ha necessità di chiedere la prestazione lavorativa anche la domenica, deve darne comunicazione alla Direzione regionale e provinciale del lavoro. Viceversa, se l’attività domenicale è continuativa, deve essere inoltrata una richiesta di autorizzazione all’Ispettorato del Lavoro;
- ferie: periodo di riposo necessario per il recupero delle forze intellettuali e fisiche. Il diritto alle ferie si palesa come un diritto irrinunciabile, sancito dalla Costituzione all’art.36, e per il quale è previsto un’espressa retribuzione. Tale periodo va goduto per almeno 2 settimane consecutive nell’anno di maturazione se richiesto dal lavoratore e salvo quanto disposto dalla contrattazione collettiva, oppure nei 18 mesi successivi, secondo quanto disposto dall’art. 2109 c.c. Il numero di giorni di ferie annuali e le modalità di fruizione vengono stabiliti dai CCNL, ed in ogni caso non possono essere inferiori a 20 giorni. Inoltre, nel caso in cui il rapporto di lavoro si interrompe prima che tutte le ferie siano state godute, il lavoratore ha diritto a ricevere un’indennità;
- festività infrasettimanali: sospensione giornaliera, retribuita, della prestazione lavorativa in occasione di ricorrenze religiose e civili;
- mensilità aggiuntiva (cd. tredicesima):in coincidenza con le festività natalizie le aziende erogano una mensilità aggiuntiva. Si parla al proposito di tredicesima nel caso degli impiegati o di gratifica natalizia, nel caso degli operai. In alcuni contratti del settore terziario è prevista anche l’erogazione di una quattordicesima mensilità;
- congedo matrimoniale: una sospensione giustificata del rapporto di lavoro durante il periodo del matrimonio, della durata di 15 giorni, con decorrenza dal terzo giorno antecedente alla celebrazione delle nozze;
maternità/paternità: il diritto della donna lavoratrice di assentarsi dal lavoro, negli ultimi due mesi di gravidanza, e nei primi tre successivi alla nascita, percependo l’80% della retribuzione. Tale periodo può essere prorogato di ulteriori 6 mesi (in tal caso la retribuzione corrisposta è pari al 30%). Durante la maternità la lavoratrice non può essere licenziata, (nello specifico dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno del neonato), ed inoltre ha il diritto di usufruire di permessi retribuitifino al terzo anno di vita del bambino. In alternativa alla madre possono ricorrere a tali permessi anche i padri;
- diritto allo studio: il lavoratore che al contempo segua corsi scolastici ha diritto di usufruire di agevolazioni e permessi, ovvero di effettuare turni ed orari di lavoro particolari e godere di permessi che agevolino la frequenza scolastica, e nel caso in cui debbano essere sostenuti degli esami di fruire di permessi retribuiti;
- malattie ed infortuni sul lavoro/malattie professionali: per malattiasi intende qualsiasi stato patologico o alterazione dell’organismo, mentre l’infortunio fa riferimento ad un evento traumatico e repentino avvenuto sul posto di lavoro o in occasione del lavoro, che comporta l’impossibilità di svolgere l’attività lavorativa per più di 3 giorni. In entrambi i casi si ha la sospensione dell’attività lavorativa per un’impossibilità sopravvenuta. Tuttavia, al lavoratore va garantita sia la conservazione del posto di lavoro, per il tempo stabilito dai CCNL, sia la retribuzione ex art. 2110 c.c. In particolare, i primi tre giorni vengono corrisposti dall’azienda, mentre a partire dal quarto giorno intervengono le indennità retributive erogate dall’INPS in caso di malattia, e dall’INAIL in caso di infortunio. La legge prevede che il datore di lavoro provveda alla stipula di un’assicurazione sociale obbligatoria ( 38 co.2 Costituzione, e T.U. disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali per indennizzare i lavoratori in caso di infortunio sul lavoro, malattia professionale, o anche per eventi che possono aver luogo nel tragitto per recarsi al lavoro cd. infortunio in itinere. L’assicurazione ha la funzione di garantire ai lavoratori prestazioni sanitarie relative alle prime cure, e prestazioni economiche, ed esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile conseguente all’evento lesivo subito dai propri dipendenti, salvo i casi in cui, in sede penale o, se occorre, in sede civile, sia riconosciuta la sua responsabilità per reato commesso con violazione delle norme di prevenzione e igiene sul lavoro).
STATUTO DEI LAVORATORI:
Per regolare i diritti del lavoratore, oltre alla Costituzione, è entrato in vigore nel 1970 lo Statuto dei Lavoratori il cui scopo è tutelare tali diritti e le rappresentanze sindacali di fabbrica, gestendo i rapporti tra questi e le direzioni aziendali.
La legge si intitola “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Secondo alcuni, è quasi una super legge, una sorta di legge potenziata che ha quasi la forza giuridica della stessa Costituzione. Quel che è certo è che, nonostante siano passati oltre 40 anni dalla sua approvazione, è ancora un punto di riferimento normativo fondamentale nella tutela dei lavoratori.
Di certo, il valore dello Statuto dei lavoratori è quello di racchiudere in un solo testo legislativo un corpo molto ricco di diritti fondamentali del lavoratore che sono diretta espressione delle norme costituzionali che abbiamo visto sopra.
I diritti dei lavoratori tutelati nello Statuto:
La norma sancisce la libertà di opinione del lavoratore (art.1), che non può essere oggetto di trattamento differenziato in dipendenza da sue opinioni politiche o religiose e che, per un successivo verso, non può essere indagato per queste nemmeno in fase di selezione per l’assunzione.
Questi passi trovano una loro spiegazione di migliore evidenza segnalando che, nel secondo dopoguerra in Italia, si verificarono numerosi casi di licenziamento di operai che conducevano attività politica o che, anche indirettamente, si rivelavano militanti di forze politiche o sindacali non gradite alle aziende.
I divieti di controllo dell’attività lavorativa
L’attività lavorativa, l’apporto operativo del lavoratore, è poi svincolata da alcune forme di controllo che la norma giudica improprie e che portano lo Statuto a formulare specifici divieti quali, ad esempio:
- divieto, per il datore di retribuzione, di assegnare le guardie giurate al controllo dell’attività lavorativa dei lavoratori (secondo l’articolo questa figura può esercitare esclusivamente la vigilanza sul patrimonio aziendale)
- divieto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, salvo accordi coi sindacati.
La reintegrazione nei casi di licenziamento
Sulla base di quanto disposto dall’articolo 35 dello statuto e dagli articoli dal 19 al 27, applicati ad aziende con “…sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti…”, si afferma la tutela dell’attività sindacale e il principio del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento, nei casi previsti dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Dopo la contrattualizzazione del pubblico impiego in Italia avvenuta negli anni 1990, l’applicabilità della norma fu estesa anche ai dipendenti pubblici italiani.
TUTELA DEL LAVORATORE IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO DAL POSTO DI LAVORO:
La tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo fino a qualche anno fa era garantita dalla Legge n. 300 del 20 Maggio 1970, ovvero dallo Statuto dei Lavoratori, in modo particolare dal famoso Articolo 18, recentemente modificato ad opera della Riforma Fornero (2012) e del Jobs Act (2014).
L’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori offriva a chi veniva licenziato da un’impresa con più di 15 dipendenti nello stesso comune (5 se agricola) una tutela reale: il datore di lavoro era obbligato dal giudice a reintegrare il dipendente in azienda e a pagare una somma corrispondente a quanto avrebbe dovuto percepire dal giorno del licenziamento a quello del reintegro, più i vari contributi.
Per chi proveniva da piccole realtà (sotto i 15 dipendenti) era invece prevista una tutela obbligatoria: il giudice imponeva al datore o di riassumere il dipendente oppure di risarcirlo con una somma compresa tra un minimo di 2 mensilità e mezzo ed un massimo di 6 mensilità.
La Riforma Fornero – Legge 92/2012 – ha apportato una prima, importante modifica a questa disciplina, prevedendo tutele differenti in base al tipo di illegittimità del licenziamento: tutela reale piena, tutela reale limitata, tutela risarcitoria forte e tutela risarcitoria debole.
A queste 4 forme si aggiunge la tutela obbligatoria, destinata alle imprese in cui lavorano fino a 15 dipendenti.
Riforma Fornero: licenziamento discriminatorio.
In caso di licenziamento discriminatorio– ma anche per licenziamento nullo e/o avvenuto in forma orale – indipendentemente dalla dimensione dell’impresa, il lavoratore ha diritto ad una tutela reale piena: il giudice dichiara nullo il licenziamento ed ordina al datore di reintegrare il dipendente in azienda e pagargli un’indennità calcolata in base all’ultima retribuzione maturata dal giorno del licenziamento a quello del reintegro. Questa cifra non deve comunque essere inferiore a 5 mensilità ed in più il datore è tenuto a versare anche i contributi.
Il licenziamento della lavoratrice madre avvenuto durante il periodo di astensione obbligatoria per gravidanza o mentre usufruiva di congedi parentali e simili, viene sanzionato allo stesso modo, così come quello che si verifica quando una donna lavoratrice decide di sposarsi. Questi ed altri casi sono, infatti, considerati illeciti dalla legge, per cui il licenziamento viene dichiarato nullo e la lavoratrice ha diritto ad una tutela reale piena.
Riforma Fornero: licenziamento ingiustificato.
Nei casi di licenziamento ingiustificato più gravi i lavoratori sono protetti da tutela reale limitata. Si tratta di situazioni in cui il giudice, analizzato il caso, si rende conto che giustificato motivo soggettivo o giusta causa in realtà non sussistono oppure che il comportamento del lavoratore che ha provocato il licenziamento poteva essere punito con una sanzione diversa (con una sanzione conservativa, in base al contratto collettivo di riferimento o a codici disciplinari).
In queste situazioni il licenziamento è annullato ed il datore di lavoro è costretto a reintegrare il dipendente, pagargli un’indennità calcolata in base all’ultima retribuzione dal giorno del licenziamento a quello del reintegro (somma che, in ogni caso, non deve superare le 12 mensilità) e versare i contributi.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo si ha per esempio quando il lavoratore viene licenziato per ragioni economiche oppure perché il datore lo dichiara inidoneo fisicamente e/o psicologicamente a continuare l’attività: in entrambi i casi, se il giudice considera questi motivi insussistenti, viene applicata la tutela reale limitata.
Licenziamento illegittimo dopo riforma Fornero.
Il Jobs Act – approvato con la Legge n. 183 di Dicembre 2014 – prevede una nuova disciplina per il licenziamento illegittimo che sostituirà un po’ alla volta quella prevista dalla Riforma Fornero ma che, per il momento, riguarda solo le nuove assunzioni avvenute a partire dal 7 marzo 2015: per i lavoratori assunti prima di questa data, infatti, viene ancora applicata la normativa descritta in questa pagina.
La novità sostanziale della nuova disciplina consiste nel fatto che sono stati limitati i casi in cui il licenziamento illegittimo porta al reintegro del lavoratore in azienda, mentre si predilige come sanzione il risarcimento. In modo particolare, con il Jobs Act si parla di tutele crescenti, cioè di tutele che crescono in base al numero di anni di anzianità di servizio del dipendente licenziato in modo illegittimo.
Jobs Act e licenziamento
Le tutele crescenti di cui si parla per il Jobs Act fanno riferimento ad un tipo di tutela offerta al lavoratore licenziato illegittimamente che “cresce” a seconda del numero di anni di anzianità di servizio.
La reintegrazione è prevista ora solo in alcuni casi, ovvero se il licenziamento risulta discriminatorio, nullo oppure è avvenuto in forma orale, se è stato provocato da motivi disciplinari in realtà insussistenti oppure se il datore di lavoro ha dichiarato l’inidoneità fisica e/o psichica del lavoratore ma questa inidoneità in realtà non esiste. In queste situazioni il lavoratore ha diritto al reintegro ed al risarcimento, che corrisponde ad una somma pari a tutte le retribuzioni che avrebbe dovuto percepire dal giorno del licenziamento a quello del reintegro e i relativi contribuiti.
In alternativa, entro 30 giorni dalla comunicazione di deposito della sentenza o dall’invito a tornare in azienda da parte del datore di lavoro, il licenziato può scegliere un indennizzo al posto del reintegro, pari a 15 mensilità e privo di contributi. Se opta per l’indennizzo, il rapporto di lavoro viene considerato del tutto concluso.
La Riforma Cartabia, di ampia portata rispetto alla disciplina processuale, ha inciso su un numero molto limitato di aspetti della disciplina giuslavoristica; ciononostante, è evidente la rilevanza di limitati interventi, originati dal nobile intento di unificare e semplificare le azioni a tutela del lavoratore, risolvendo problematiche che la giurisprudenza, solo nel corso di molti anni, aveva tentato di superare, purtroppo non in modo univoco e non senza zone d’ombra:
la Riforma introduce l’art. 441- quater c.p.c., intitolato licenziamenti discriminatori.
Detto articolo non rappresenta una vera novità, limitandosi a stabilire – e forse a chiarire – che le vertenze citate possano essere instaurante, a scelta del lavoratore, con il rito ordinario oppure, ricorrendone i presupposti, con i relativi riti speciali, a seconda delle fattispecie, ex art. 38 del d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198 e ex art. 28 del d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150, il primo da intendersi quale procedura d’urgenza azionabile su ricorso del singolo lavoratore, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso ovvero della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente, avanti al Giudice del Lavoro, che ordinerà all’autore del comportamento denunciato la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti; il secondo avente ad oggetto discriminazioni per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, età, convinzioni personali, orientamento sessuale o handicap, controversie tutte ora regolate dal nuovo rito semplificato di cognizione, introdotto dalla riforma Cartabia all’art. 281- decies c.p.c., fra le cui peculiarità spicca la facoltà delle parti, nel giudizio di primo grado, di stare in giudizio personalmente. Con la sentenza che definisce questo tipo di giudizio, il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti.
Precisata dunque la facoltà del lavoratore di scegliere fra il rito ordinario del lavoro e quelli speciali, l’art. 441-quater c.p.c. sancisce che la proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.